Arrivai in Tanzania per la prima volta nel 1996 e conobbi subito questa figura carismatica che era il capo villaggio.
Presto mi accorsi che non era solo il capo villaggio, ma il capo carismatico di un’intera comunità.
I giovani avevano un rispetto reverenziale nei suoi confronti, ma anche gli altri.
Venni presa sotto la sua ala protettrice, e a volte penso che se Silvia avesse conosciuto una persona come lui, probabilmente non avrebbe vissuto l’incubo che invece ha dovuto affrontare.
A quell’età si è spensierate ed incoscienti, alcune di noi sono impulsive, e soprattutto, quando si viene in Africa per la prima volta, si hanno tanti stereotipi per la testa, ma grazie a gente come Mzee Nkopano ho capito tante cose. Grazie a lui esiste KISEDET, lui mi ha sempre incoraggiata a continuare, dicendomi di non badare a chi vedeva solo l’apparenza, una giovane ragazza bianca, sola in un villaggio nel centro della Tanzania. Quando me ne sono andata dalla Parrocchia, lui ha messo un tetto sopra la mia testa; quando il Vescovo, borioso e corrotto come pochi, mi ha negato la sua assistenza per il visto perché non accettavo di far passare i soldi che si raccoglievano in Italia con Gruppo Tanzania (all’inizio pochissimi, grazie alla vendita di torte caserecce e oggetti di artigianato) destinati ai piccoli progettini che allora portavamo avanti a Kigwe, lui mi ha detto di non preoccuparmi, che avrebbe trovato il modo di farmi restare in Tanzania; e cosi insieme a lui, a John (morto nel 2009), Mzee Marimbocho, Paolina, Mzee Lungwa, Mzee Galahenga e Chidumizi (anche loro morti), Mzee Kusila (allora Ministro dell’Agricoltura), e altri che ora mi sfuggono, fondammo KISEDET.
In una cerimonia che non dimenticherò mai, mi diede il nome Mbeleje (nome dato alle bambine che nascono nel periodo in cui si preparano i campi alla semina), mentre alcune donne mi avvolgevano nei vitange (stoffe colorate usate come vestiti, e/o per confezionare vestiti), e mi innamorai subito di quel nome; anche oggi sono pochissime le persone che sanno che il mio nome è Giovanna, in tanti mi chiamano Mama Alice, alcuni Mama Vale, ma la maggior parte Mbeleje.
Mzee (letteralmente vecchio), si usa davanti ai nomi di uomini a cui bisogna portare rispetto per quello che sono e per quello che sono stati.
Grande militante del partito di maggioranza CCM, in carica dal 1961 anno dell’Indipendenza. Prima del CCM c’era il TANU, l’Unione Nazionale Africana del Tanganyika, fu il partito politico protagonista nella lotta per l’indipendenza dello Stato del Tanganyika (oggi Tanzania). Il partito fu fondato da Julius Nyerere nel luglio del 1954.
Conservo una foto nel mio ufficio, appesa dietro la mia scrivania, in cui si vedono Nyerere e Mzee Nkopano parlare tra di loro, durante la visita del Presidente a Kigwe (l’anno non lo sappiamo, ma credo sia stata scattata negli anni settanta).
Uomini come Mzee Nkopano stanno via via scomparendo, gente per cui la politica non era una un’opportunità per far soldi ma era un ideale in cui credere, e lui è morto povero, ma ricco di ideali e soprattutto con il cuore puro, e libero da corruzione. A volte provavo compassione per lui, soprattutto quando faceva campagna elettorale per il parlamentare di turno, all’apparenza un uomo tutto d’un pezzo, per poi, una volta ottenuta la poltrona, dimenticarsi di chi, come Mzee Nkopano l’avevano fatto arrivare fin li.
Lui comunque non ci faceva caso, per lui esisteva solo il Partito, e in quello era fedele, nonostante tutto e tutti.
Le piogge di alcuni anni fa, hanno fatto crollare un pezzo della casa, e KISEDET gliene ha costruita una in mattoni, piccola ma dignitosa e a sentir lui, era come se gli avessimo costruito un palazzo!
Un parlamentare, eletto grazie a lui, gli ha fatto arrivare la corrente, forse la coscienza gli rimordeva troppo, poi una volta iniziata la malattia, quasi nessuno s’è piu’ visto, tranne KISEDET che lo ha assistito fino alla fine, fino a ieri, quando finalmente ha smesso di soffrire.
Circa una settimana fa, sono stata a trovarlo per l’ultima volta; i figli dicevano che alternava momenti di lucidità a momenti di confusione, ma durante la mia visita, e’ sempre stato lucido. Era sdraiato per terra, gonfio, la pancia enorme (forse aveva un tumore, e chi lo sa…), ma sorrideva, quel suo bellissimo sorriso, che mentre scrivo è davanti ai miei occhi. Mi ha chiamata, “Mbeleje njoo” (Mbeleje vieni), mi sono chinata mi ha preso per un braccio e mi ha detto: “voglio essere seppellito dove sta mia mamma; l’ho gia’ detto ai miei figli, e lo ripeto a te, perché io ti considero una figlia”, poi, rivolgendosi al figlio piu’ grande: “Nkopano, devi associarti a KISEDET, perché è un’ong che aiuta veramente le persone”, e infine, sempre rivolto al figlio, indicando la casa: “Nkopano, questa è opera di Mbeleje” ed io non ce l’ho più fatta e sono uscita a prendere un po’ d’aria per non farmi vedere che piangevo; avevo capito che mi stava salutando e che non l’avrei rivisto più, anche se lui vivrà sempre nel mio cuore.