R. riempie il suo piatto di cibo, una montagnetta di riso bianco, fagioli e verdura. Prende due cucchiai e li mette nel piatto, poi si avvicina e dice “Mama njoo, tule pamoja, nimeshaweka vijiko viwili” (Mamma vieni, mangiamo insieme, ho già messo due cucchiai). Io lo sento, gli vado incontro e ci sediamo insieme sul divanetto all’ingresso. Sul tavolo di fronte a noi aveva già messo due tazze piene d’acqua, una per me e una per lui.
Non è la prima volta che mi capita di condividere un piatto di cibo, in Tanzania è abbastanza comune e vivo qui da abbastanza anni per aver assistito più volte a questa scena. Succede anche per strada: più volte mi hanno offerto del cibo, con le mani impolverate e sudate di chi la strada la vive, ora dopo ora. Non credo sia solo gentilezza, né tanto meno rispetto, è un modo per capire se possono fidarsi, se tu accettando il loro cibo accetti loro completamente; accetti anche che forse non riusciranno mai ad abbandonare la strada. Per loro questo è l’atto d’amore più grande che ci possa essere: non è scontato che si salveranno, non è scontato che cambieranno vita, ma noi ci saremo sempre se lo vorranno.
R. è un bambino di 12 anni, poco più o poco meno, vive per strada e spesso frequenta il drop-in center di Kisedet: al mattino arriva al centro diurno, beve l'”uji”, si lava e lava i suoi vestiti, riposa e poi, dopo pranzo, torna in strada insieme ad altri ragazzi. R. è anche un bambino sieropositivo, che ha un motivo in più per togliersi in fretta dalla strada e cambiare vita.
Abbiamo mangiato insieme nello stesso piatto. Io lo accetto e lui si fida, Kisedet lo accetta e lui torna l’indomani al drop-in center. Semmai un giorno decidesse davvero di voler tornare a scuola, lo accompagneremo e se, un giorno, la sua malattia dovesse affiorare, potremmo accorgercene e aiutarlo con le spese mediche.
Lavorare con i bambini e ragazzi di strada non è facile, non ci sono soluzioni universali, ci vuole tempo per creare un rapporto di fiducia, ma d’altro canto bisogna correre contro questo tempo che rischia di normalizzare comportamenti rischiosi. L’importante, però, è lasciare sempre le porte aperte a chi prima o dopo desidera e sceglie consapevolmente di cambiare vita.
La strada non ha mai cresciuto nessun bambino, ma ne ha visti crescere tanti. La strada può solo renderli insicuri, pieni di paure, ma anche eccessivamente sfrontati di fronte ai pericoli. Vivere per strada genera rabbia e di conseguenza comportamenti violenti, con i gesti e con le parole. Garantire loro uno spazio in cui sentirsi accolti e accettati è fondamentale.
Alcuni dei ragazzi che frequentano il drop-in center sono quasi adulti, vecchie conoscenze ai quali non sono bastate le opportunità offerte per uscire dalla strada, ma mai verrà negato loro riparo. Altri sono più piccoli e ogni giorno è prezioso per riuscire a mostrargli che possono invertire la rotta.
Un bambino che non lascerà la strada sarà un adolescente e poi un adulto con poche speranze e darà vita ad una seconda generazione di bambini di strada.
Vi chiediamo una donazione per finanziare il drop-in center, per continuare a fornirlo di acqua, sapone, asciugamani e stuoie per riposare; per continuare a garantire pasti caldi a questi bambini e ragazzi che fanno affidamento su di noi.