Eccoci di nuovo qui a raccontare la barbara uccisione di due ragazzi di strada…
L’ultima volta avevamo esordito con la stessa frase: “Eccoci di nuovo qui…”
Fino a quando dovremo scrivere questa frase? Fino a quando i ragazzi di strada verranno massacrati dalla folla inferocita o da “persone sconosciute”?
Toma 18 anni, ucciso a Dar es Salaam un mese fa.
Mwarabu, 17 anni, ucciso a Dodoma, dal 06 Dicembre, e il corpo è stato per circa due mesi nella camera mortuaria dell’ospedale governativo, fino a quando alcuni suoi compagni non sono andati a vedere se il corpo fosse ancora lì, visto che avevano perso le sue tracce…
Mwarabu, l’ultima volta l’abbiamo visto lo scorso anno e, quando l’avevamo supplicato di rimanere presso la casa accoglienza KISEDET, la sua risposta era stata: “Non posso restare qui, la mia vita ormai è per strada”. Ci siamo congedati dicendogli che avrebbe fatto la stessa fine di Jimmy e di tutti gli altri ragazzi uccisi per strada, ma nemmeno questo l’ha dissuaso, e cosi è stato.
Lo avevamo supplicato di rimanere perchè lui e Stanley erano stati pestati a sangue, e lui, già cosparso di benzina, era risucito a scappare, solo perchè ai suoi aguzzini si era inceppato il fiammifero…
E’ aprile, domenica, e quando veniamo avvisati, andiamo a raggiungere i due feriti, e restiamo sconcertati dai segni che portano sui loro corpi, e sui loro visi.
Una violenza bestiale, per aver rubato dei ferri vecchi e il crick di un’auto. Andiamo dalla polizia, una piccola stazione vicino alla casa accoglienza, perchè andando alla centrale perderemmo ancora più tempo, e ci sembra evidente che non si possano lasciare ancora a soffrire questi ragazzi, nonostante abbiano rubato…
Arriviamo e siamo “accolti” da tre poliziotti, uno in divisa e due in borghese. In piedi spieghiamo cos’è accaduto ma non sembrano essere ben disposti, perchè subito ci dicono di andare alla stazione centrale di polizia di Dodoma. Cerchiamo di convincerli ad aiutarci (in Tanzania, in questi casi, se vai in ospedale senza la denuncia da parte della polizia, nessuno muove un dito), ma nulla e nessuno sembra smuoverli. Allora io e la mia compagna iniziamo a parlottare, e vedo il capo rivolgersi all’altro poliziotto, per poi dirci di entrare.
Nel frattempo fuori, il ghiaccio si è rotto, e con gli altri poliziotti discutiamo di come sia possibile che la gente continui ad ammazzare indisturbata chi ruba o chi solo è accusato di furto (magari non ha nemmeno commesso il fatto).
Ottenuta la denuncia, portiamo i ragazzi in un ospedale privato, dove abbiamo una convenzione attraverso l’assicurazione sanitaria e poi alla casa accoglienza dove resteranno fino a quando non saranno guariti.
Chiamiamo i parenti dei ragazzi, ma si presenta solo la mamma di Stanley (quelli di Mwarabu vivono a Iringa), che non ha più lacrime da versare; dice al figlio che ormai si è rassegnata e che la prossima volta piangerà sul suo corpo senza vita.
Stanley si commuove, o chissà che, fatto sta che si dice disposto ad andare subito presso un centro di disintossicazione ad Arusha, e così avviamo subito le pratiche.
Mwarabu invece è irremovibile, e il giorno dopo se ne andrà per sempre dalla casa accoglienza, e lo rivedremo cadavere, presso la camera mortuaria dell’ospedale di Dodoma.
Siamo stanchi di piangere i nostri figli, siamo stufi di essere impotenti di fronte a tanta violenza gratuita, siamo più determinati che mai a continuare a lottare per loro, per i figli della strada, affinché giustizia venga fatta, affinché altri non vengano uccisi, e altri lascino la vita di strada alle loro spalle, come già avvenuto in tantissimi altri casi.
Che la terra vi sia lieve: Mauridi, Daudi, Danieli, Chuga, Boazi, Gidion, Antony, Peter, Aloyce, Agostino, Frankie, Johny, Ima, Jimmy, Toma, Mwarabu, Igidi…