Al mio arrivo in Tanzania, all’interno della maggior parte dei villaggi, gli abitanti non parlavano la lingua ufficiale del Paese, ovvero il Kiswahili (conosciuto universalmente come Swahili), ma solo il Kigogo, dialetto parlato soprattutto nella Regione di Dodoma. Sono passati più di venticinque anni e ad oggi le cose sono cambiate drasticamente: molti tanzaniani parlano Inglese o lo combinano con il Kiswahili, ma perché lo fanno? A sentire loro sembrerebbe una questione di status quo.
Qui i bambini e le bambine frequentano la scuola primaria per sette anni e la lingua dell’insegnamento è il Kiswahili. Coloro che scelgono di continuare gli studi (specifichiamo che in Tanzania solo i primi sette anni di scuola sono ritenuti obbligatori), frequentano altri sei anni di scuola secondaria. La particolarità è che le lezioni durante quest’ultima, fino all’università, vengono impartite interamente in lingua inglese. E voi direte: “Fantastico! Dovrebbero farlo anche in Italia”, ma c’è un piccolo particolare, per nulla irrilevante, ovvero che alla fine delle scuole primarie sono in pochissimi a conoscere l’Inglese. La conseguenza è che molti di loro scelgono di non proseguire negli studi, frustrati dal fatto che non parlano Inglese fluentemente.
Spesso incontro bambini che mi salutano dicendo “Goodmornig teacher” quando il sole e’ ormai tramontato, segno che il livello di insegnamento inglese alle scuole primarie è decisamente insufficiente. Tanti, troppi ragazzi abbandonano gli studi perché non ce la fanno, non capiscono nulla. Nel complesso, il livello di istruzione in Tanzania continua a restare uno tra i più bassi al mondo e credo che uno dei principali motivi, se si esclude la mancanza di libri di testo, banchi, aule, ecc., sia proprio questo: l’uso della lingua Inglese per l’insegnamento, anziché il Kiswahili.
Si spera che prima o poi qualcuno al Governo, si renda conto di questo paradosso, ma finora sembra che quasi nessuno ci faccia caso.
A peggiorare la situazione, molti genitori di ragazzi che frequentano le scuole private English Medium tentano di parlare con i loro figli esclusivamente in Inglese, anche tra le mura domestiche. Provano un senso di orgoglio nell’avere figli che ripudiamo la lingua nazionale, in favore di un idioma internazionale. A parere nostro non c’è nulla di cui vantarsi. Ridurre le proprie possibilità linguistiche scegliendo di parlare solo l’Inglese non è positivo; sebbene dimostri apertura verso il mondo occidentale, significa porre un limite alla conoscenza.
Per comprendere meglio anche l’importanza storica della lingua Swahili, dobbiamo fare un passo indietro a quando nel luglio del 1954, il primo Presidente tanzaniano Julius Nyerere decretò che il Kiswahili fosse la lingua ufficiale del suo partito, una vera e propria arma contro il colonialismo. Allo scoccare dell’indipendenza nel 1961, da un giorno all’altro nelle scuole, negli uffici governativi e nei tribunali fu ordinato di usare il Kiswahili, invece dell’Inglese. In tutto il Paese sorsero Istituti di lingua Swahili per incoraggiarne lo studio e lo stesso Nyerere, chiamato mwalimu (in Italiano insegnante) tradusse nella lingua locale il Giulio Cesare e il Mercante di Venezia di Shakespeare.
La campagna non ebbe ottimi risultati all’epoca, ma negli anni le cose sono cambiate e lo Swahili è oggi la prima lingua in Tanzania, uno dei soli paese africani a comunicare primariamente in una lingua africana. Il punto è: sopravviverà?
E’ triste e allo stesso tempo assurdo, questo servilismo verso il mondo occidentale, ma è la realtà e in quanto tale è bene raccontarla. Le contraddizioni in questo Paese sono tante ed una di queste è proprio la lingua: da un lato molti tanzaniani persistono nel fare discorsi razzisti, conditi da vecchie reticenze colonialiste definendo i “bianchi” coloni, mentre dall’altro svendono la propria storia e la propria identità nel tentativo di integrarsi in un mondo globalizzato e che tende all’omogeneità. Questo comportamento lo si può tradurre in una sorta di complesso di inferiorità, storicamente indotto durante il periodo coloniale. Purtroppo 500 anni di schiavitù non si dimenticano facilmente, ma questo non vuole essere un alibi, né alla loro indipendenza, né tanto meno alla nostra responsabilità storica. Apro una parentesi per consigliarvi l’ultimo libro di Alex Zanotelli “Lettera alla tribù bianca”, una lettera rivolta a tutti noi, affinché troviamo il coraggio di reinventare un mondo più umano e plurale.
In Italia molti usano lockdown anziché’ “chiusura”, pub invece di “birreria”, wireless al posto di “senza fili”, ecc. In Swahili così come in Italiano, esistono inglesismi tipo “tivi” invece di runinga (televisione), “glasi” anziche’ bilauli (bicchiere), “treni” invece di gari moshi (treno), e via dicendo. In questo modo, l’Inglese prenderà il posto del Kiswahili, o lo Swahili sarà “imbastardito” come quello del Kenya, solitamente deriso dai tanzaniani. Se nessuno cercherà di evitare la sua trasformazione o addirittura la sua scomparsa, la Tanzania tra qualche decennio si ritroverà nella scandalosa condizione di rinnegare la propria lingua per assumere quella degli ex colonizzatori.
Giovanna