Immagini e cooperazione 

Il modo in cui ci esprimiamo e le immagini che vediamo, soprattutto in un’epoca segnata dalla centralità dei media come mezzo di comunicazione, contribuiscono a formare i pezzetti che compongono il nostro intendere il mondo. Le immagini, spesso, diventano specchio di realtà e le si percepiscono come un concreto e funzionale mezzo per meglio capire la vita. La fotografia soprattutto, come espressione artistica e come affidabile sguardo oggettivo sulla realtà, è da prendere in considerazione nel riconoscere l’influenza che le immagini imprimono sulle nostre vite. La fotografia, per alcune culture, è lo specchio dell’anima, e per questo, bisognerebbe sempre entrarci in punta di piedi, ed essere pronti a non essere sempre accolti.

Ma la continua esposizione di minori e persone che vivono situazioni di estrema povertà, in fotografie pietistiche molto spesso con al centro il bianco di turno che narra la sua storia di salvatore, oppure al contrario, fotografie di bimbi festanti con la didascalia “sono felici pur non avendo nulla”, continuerà ad alimentare luoghi comuni e stereotipi e non ci salverà dal white saviour complex- il fardello dell’uomo bianco.  La natura oggettiva della fotografia, non va sempre intesa come un imparziale, giornalistico punto di vista, l’obiettivo di una fotocamera, come i nostri occhi, non sempre offre un affidabile sguardo sulla realtà e i messaggi che si vogliono comunicare tramite le immagini, sono fondamentali quanto quello che vediamo in superficie. 

Ma cosa ha a che fare il mondo della cooperazione internazionale con quello della fotografia? Lo scopo di questo articolo è aprire una conversazione tra questi due mondi, analizzando le necessità di uno e le premesse dell’altro, apprezzando l’importanza e la delicatezza di entrambi. Questa conversazione viene aperta con l’obiettivo di ricavarne una riflessione, che possa smuovere idee e pregiudizi, per contribuire ad arricchire un dialogo che metta al centro la tutela dei più vulnerabili. 

Il mondo della cooperazione internazionale è complesso e in costante cambiamento. Una nostra news, che ripubblicava un articolo di INFO Cooperazione: Si può fare raccolta fondi nel mondo della cooperazione senza utilizzare immagini di minori? poneva questa domanda provocatoria con lo scopo di presentare ai nostri lettori un nuovo approccio nella raccolta fondi nell’ambito delle organizzazioni non governative. L’articolo del marzo 2022, tramite la notizia del lancio della compagna OverExposed portata avanti da un’importante Charity del Regno Unito, Chance for Childhood,  questionava il ruolo delle immagini di bambini nel contesto delle campagne di raccolta fondi. “OverExposed”, infatti, “invitava all’azione per innalzare gli standard e riformulare il modo in cui il settore utilizza le immagini e le storie dei bambini.” (Info cooperazione, 2022) La charity britannica ha concretizzato con la decisione di non mostrate i volti dei bambini nelle loro campagne di raccolta fondi. 

KISEDET e Gruppo Tanzania, che hanno sempre condiviso lo spirito della campagna prestando sempre attenzione alla difesa dei minori, hanno cominciato un processo di rimozione delle immagini di bambini dai propri siti e dalle proprie pagine social, specialmente nelle sezioni riguardanti le raccolte fondi. Questo nuovo approccio sta diventando centrale a KISEDET, che ora prende le distanze, in modo categorico e chiaro, dalla raccolta fondi che si basa sul pietismo e su un sistema che contribuisce a nutrire falsi stereotipi sulla Tanzania, sui bambini tanzaniani, e africani in generale. Questo nuovo approccio mette al centro i diritti e la dignità di ogni bambino, assicurando la privacy dei minori beneficiari di KISEDET. Con questo nuovo approccio KISEDET e Gruppo Tanzania fanno un passo in avanti verso quello che dovrebbe essere un mondo della cooperazione più attento e meno superficiale, dove si ricerca il “delicato equilibrio tra informare e rispettare i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.” (CESVI, 2015) 

Il fardello dell’uomo bianco di Kipling, si basa sull’idea che l’uomo bianco abbia un dovere innato nel “civilizzare” gli stati e le persone attorno al mondo. Il vedere e considerare gli individui “non bianchi” con uno sgardo pietista, che li vede come dei bisognosi, continua ad alimentare una visione sistematica che crea relazioni verticali e di separazione. É fondamentale ricordare che i messaggi che condividiamo con il mondo contribuiscono a creare la nostra realtà e a confermare o smentire stereotipi e pregiudizi che, spesso, compongono le nostre vite. Se esiste un dovere, che abbiamo tutti, gli uni verso gli altri, è proprio quello di trattare, senza distinzione, con gentilezza, rispetto e tolleranza ogni individuo che incontriamo. Senza giudizio, senza la volontà di esportare tradizioni o di cambiarle, con il rispetto e la delicatezza sulle quali puo’ nascere davvero uno spirito di scambio reciproco. 

Dare ai bambini la consapevolezza di essere individui ricchi di valore e potenziale è uno degli obiettivi di KISEDET, strumentalizzarli per campagne di raccolta fondi non è e non deve essere l’unica via per ottenere introiti per i progetti. Le sfide rappresentate da questa più chiara policy, non sono poche: il numero di sostegni a distanza, per esempio, negli ultimi anni sta calando con rapidità. I sostegni a distanza (SAD) permettono ai bambini e ai ragazzi sostenuti di andare a scuola, assicurano loro pasti e beni di prima necessità. Il calo dei sostegni da parte di privati, oltre a spingere KISEDET a ricercare fondi e supporto tramite altre iniziative, comporta anche una riflessione sul futuro dei sostegni a distanza. I processi di avvicinamento, incontro, accoglienza e recupero dei minori comporta una complessità nell’abbinare un bambino a un sostenitore che spinge KISEDET e Gruppo Tanzania ad incoraggiare i sostegni a distanza collettivi, nei quali, il sostenitore, al posto di aiutare nello specifico un bambin* o un* ragazz*,  può sostenere i vari progetti di KISEDET, che sono sempre mirati al benessere e al recupero di ragazz* e bambin* provenienti dalla strada o da difficili situazioni socio-economiche. 

Intraprendere un sostegno a distanza (SAD) collettivo contribuisce in modo concreto al supporto dell’intera comunità di KISEDET, tenendo conto della natura di continuo cambiamento che, spesso, caratterizza le case d’accoglienza e il drop-in centre gestiti da KISEDET. L’organizzazione si pone come punto di riferimento per individui vulnerabili che hanno ben pochi punti stabili. Le porte di KISEDET sono sempre aperte, senza distinzioni e senza discriminazioni. Secondo questi valori, crediamo in un sistema di contribuzione che assicuri l’indiscriminato sostegno di bambin* e ragazz* vulnerabili. Essere abbinati ad un bambino/a potrebbe essere, forse, più motivante per il sostenitore poiché questo crea un legame affettivo, a volte però, con il rischio che le informazioni del bambino che giungono ogni anno ai sostenitori diventino più che un resoconto, una sorta di ricevuta morale la cui importanza (per quanto possa essere comprensibile e legittimo l’umano desiderio di riconfermare la propria beneficenza), è secondaria rispetto al vero obiettivo: aiutare il maggior numero di bambini possibile nel momento del bisogno. 

Il desiderio è quello di allontanarsi da una cooperazione in cui “il fine giustifica i mezzi”, perché se è vero che l’obiettivo, è sicuramente il centro e il motivo dell’esistenza di organizzazioni come KISEDET e Gruppo Tanzania, è anche vero che esiste una responsabilità nel rispettare e assicurare sempre dignità a tutti i beneficiari di KISEDET, senza distinzioni, nell’uguaglianza e nell’immenso valore di ogni essere umano. Chiediamoci sempre, infine, la prossima volta che ci troveremo in un paese straniero, se a casa nostra ci comporteremmo cosi, se sarebbe accettabile andare da una madre e dal suo bambino a scattargli una foto, senza permesso e parola su fin dove questa foto viaggerà.

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