L’inquinamento da plastica è una delle grandi piaghe ambientali del XXI secolo: ecco come lo sta affrontando il continente africano.
L’Africa è ormai invasa dalla plastica, e per i prossimi trent’anni il suo utilizzo è destinato ad aumentare di ben sei volte, derivato da una crescita demografica che procede ad un ritmo di oltre il 2% annuo e da una maggiore attività economica che significa maggior consumo, con un parallelo aumento del problema dello smaltimento.
Fino al 2018, l’Africa è stata un esportatore netto di rifiuti plastici, diretti prevalentemente in Cina.
A gennaio 2018, la Cina ha implementato la politica che vieta tali importazioni entro i suoi confini, da allora le esportazioni di rifiuti plastici dell’Africa hanno subìto un crollo.
L’accesso a questi rifiuti rappresenta un’opportunità per potenziare il settore del riciclo delle materie plastiche nel Continente anziché proseguire sulla linea che punta sull’esportazione.
L’industria africana del riciclo delle materie plastiche però si presenta molto frammentata, con operatori che entrano ed escono spesso dal mercato, il che pone un freno all’espansione del settore.
A causa della carenza di mercati di destinazione per il materiale riciclato, la maggior parte degli operatori attivi nell’area settentrionale del Continente Africano, esporta gran parte dei propri prodotti riciclati in Europa, dove la domanda è più elevata rispetto al mercato locale.
Lo smaltimento di questo materiale in Tanzania, nello specifico, è estremamente difficile: mancano le infrastrutture adatte e anche la cultura del riciclo.
Il principale metodo di smaltimento dell’immondizia consiste semplicemente nel bruciarla, spesso per strada. In molte città è considerato normale, ma ha pesantissime ripercussioni sulla salute. Camminando per le strade delle grandi città o dei villaggi salta subito agli occhi la quantità di rifiuti, specialmente plastica, accumulata ai lati delle abitazioni e nei pressi dei mercati. Salta al naso, invece, l’odore penetrante della plastica bruciata in buche scavate nel terreno, unico mezzo per liberarsi delle tonnellate di spazzatura che non può essere riutilizzata o trasformata in concime. Non solo, spesso si bruciano i pneumatici, che liberano nell’aria sottoforma di nube nere, sostanze tossiche e nocive.
La maggior parte della popolazione tanzaniana che vive in zone rurali, non ha accesso ad alcun sistema ordinato di raccolta differenziata porta a porta o altro tipo di raccolta formale, spesso la plastica non bruciata viene raccolta da comuni cittadini per poi venderla nei pochi punti di raccolta che si trovano nelle città. Nelle città invece, esiste un sistema di raccolta porta a porta, ma è una raccolta indifferenziata; i grandi camion, vanno poi a scaricare tutta la spazzatura in zone non troppo remote della città. Dove non passano i grandi camion, passano delle moto con carretti annessi che raccolgono la spazzatura porta a porta, la scaricano in grandi cassoni sparsi per la città e successivamente i camion passano a svuotare i cassoni. Capita spesso però, che i camion subiscano avarie meccaniche, oppure si dimentichino di passare per settimane, con tutte le conseguenze maleodoranti del caso; durante le piogge, anche se passano a svuotare il cassone, quando la spazzatura si bagna sprigiona un fetore pestilenziale (vedi foto).
Da questi punti di raccolta, il materiale viene poi spedito nei pochi centri di smaltimento che si trovano nel paese, la maggior parte a Dar es Salaam.
Un esempio di riciclaggio in Tanzania per evitare la plastica è il riutilizzo delle bottiglie di vetro. Bar ed alcuni ristoranti raccolgono le bottiglie usate che poi vengono riprese dalle grandi aziende di bevande, lavate e riempite prima di essere rimesse nel mercato.
Purtroppo, non c’è ancora modo di riciclare i vuoti delle bevande alcoliche di importazione; per questo, specialmente quelle di vino, vengono private dell’etichetta originale e riutilizzate dai produttori locali; oppure finiscono insieme all’indifferenziata nei punti di raccolta, dove spesso vengono raccolte da persone che poi le rivendono.
Molti paesi in Africa, negli ultimi anni, hanno fatto sforzi significativi per limitare l’utilizzo della plastica o trovare delle alternative: oltre 30 paesi su 54 hanno vietato, per esempio, l’uso dei sacchetti monouso.
La Tanzania fa ormai parte di questi stati che intendono regolamentare più severamente l’utilizzo di questo materiale sul proprio territorio; infatti, dal 1° giugno 2019 la plastica monouso è fuorilegge, ma solo in parte: se è vero che sono stati vietati i sacchetti di plastica, i cosiddetti Rambo (sulla maggior parte di essi c’era stampata l’immagine del famoso protagonista dell’omonimo film) d’altra parte, sono stati sostituiti da altri sacchettini in plastica per la vendita al dettaglio di riso, fagioli e legumi vari, noccioline ecc…; questi sacchetti, ancora più sottili e piccoli dei famigerati Rambo, hanno infestato le città e le periferie della Tanzania.
La vera speranza è che questi sacchettini, e altri materiali derivati dalla plastica, così come molti oggetti di uso comune, vengano eliminati o sostituiti gradualmente, perché il loro smaltimento è estremamente dannoso per l’ambiente e per la salute delle persone.
Dati e informazioni sono stati estrapolati dai seguenti articoli:
https://www.nigrizia.it/notizia/africa-sempre-piu-sommersa-dalla-plastica
https://www.plastmagazine.it/riciclo-delle-materie-plastiche-africa/